Photo by Veronica Burgstaller

Il genocidio balinese attraverso gli occhi di I Made Susantha Balian e di sua nipote

Veronica ha recentemente scoperto che suo nonno, quando era giovane, è stato testimone di un genocidio storico a Bali. La sua famiglia l'ha incoraggiata a intervistarlo e questa è la sua storia.
Indonesia, Southeastern Asia

Story by I Made Susantha Balian. Translated by Stefania Ledda
Published on October 18, 2022.

This story is also available in GB de



Listen to this story:


Ho trascorso molti anni della mia infanzia in Indonesia: in Sulawesi, Bandung e Bali. Durante la maggior parte di questi, ero troppo piccola per essere interessata alla politica o avere una qualche idea del contesto sociale e politico indonesiano. A volte sentivo dire i nomi ‘Sukarno’ e ‘Suharto’ nelle conversazioni tra i miei genitori, zii, zie e nonni. Mentre crescevo, l’unica cosa che sapevo era che le mie prozie e i miei nonni avevano assistito a un cambio di regime, che non è avvenuto in maniera pacifica. Ma poi, pochi mesi fa, mio padre mi ha inviato un articolo sui massacri di Bali avvenuti nel biennio 1965-1966, durante il cambio di regime, e mi ha detto che mio nonno viveva a Bali in quel periodo. Ho chiesto prima conferma a mio zio e mia zia perché mi sembrava incredibile sentirsi dire che il proprio nonno è stato testimone di un genocidio storico [1]. Quindi, hanno me lo hanno confermato e mi hanno incoraggiata a intervistarlo. Questa è la sua storia.

“Il mio nome è I Made Susantha Balian e sono nato il 12 febbraio 1949 in un piccolo villaggio a nord di Bali, chiamato Tamblang, e ho vissuto a Bali fino al 1973. La nostra famiglia possedeva alcune porzioni di terreno. Nel linguaggio della classe sociale locale, noi appartenevamo alla classe dei proprietari terrieri. Ho ancora un appezzamento di terra a Tamblang e, sebbene la mia residenza principale sia a Bandung, a Giava, ritorno almeno una volta all’anno per prendermi cura del terreno e visitare amici e parenti. Oggi ho un buon rapporto con i miei parenti, ma non è stato sempre così. Negli anni ‘60 c’erano tre principali partiti a contendersi il potere: il Partito Comunista (PKI), il Partito Nazionalista (PNI) e il Partito Musulmano [2]. Nel 1965, in Indonesia, ci fu un colpo di stato a opera di Suharto e del suo PNI contro il PKI; dato che mio padre era membro del PNI, di conseguenza ne feci parte anche io.

La polizia pattugliava il vicinato per essere sicura che nessuno si trovasse fuori casa. Io ero un membro del PNI quindi non avevo molta paura, finché restavo in casa.

A Bali la situazione è stata tranquilla fino al 1963. Nel 1964, iniziai il mio secondo anno alle scuole superiori, ma dopo il golpe del 30 settembre 1965 [3], la situazione cambiò molto. Dopo la scuola, noi studenti dovevamo andare dritti a casa poiché non ci era concesso di andare da nessun’altra parte. C’era un coprifuoco (Jam Malam), il che significava che dovevamo restare a casa dopo le 6 del pomeriggio. La polizia pattugliava il vicinato per essere sicura che nessuno si trovasse fuori casa. Io ero un membro del PNI quindi non avevo molta paura, finché restavo in casa.

Gli eventi che si svilupparono nel 1965, a Giacarta, ebbero un grande impatto anche su Bali. Grandi violenze erano sul punto di scoppiare e molti membri del PKI vennero imprigionati a Bali, mentre a Tamblang molti membri furono portati via. Vennero prese circa 30 persone e non fecero più ritorno.

Avevo solamente 16 anni. La situazione era davvero spaventosa: alle prime ore del mattino arrivavano alcune persone, che non appartenevano al nostro villaggio. Queste persone riunivano i membri del PKI in un ampio spazio aperto al centro del villaggio. Alle tre del pomeriggio, i membri del partito venivano messi su un camion, dopo di che sparivano. Non sapevo chi li prendesse e dove venissero portati. Adesso so solo che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui li avrei visti.

Erano membri del PKI, e mi dispiacevo per loro ma, allo stesso tempo, li odiavo.

Non potevo dirgli addio perché avevo paura. Erano membri del PKI, e mi dispiacevo per loro ma, allo stesso tempo, li odiavo. E ciò accadeva perché minacciavano sempre me e mio padre. Ci dicevano che ci avrebbero uccisi, che avrebbero occupato la terra della mia famiglia e poi, si sarebbero spartiti il terreno. Secondo loro, la terra appartiene a tutti. Se dovessi descrivere il PKI, lo definirei un partito senza alcuna umanità.

Mi sentivo davvero triste anche quando la gente del mio villaggio veniva portata via; Tamblang è un villaggio molto piccolo e siamo tutti imparentati. Il mio insegnante e molti dei miei amici erano scomparsi. Nella mia vita mi sono chiesto molte volte “Dove sono e cosa gli è successo?”. Però, persino mio padre mi diceva di rimanere in silenzio e di smettere di fare domande.

Non cerco più di scoprire chi portò via i membri del PKI e che cosa gli è successo.

Non cerco più di scoprire chi portò via i membri del PKI e che cosa gli è successo. Perché? Perché sono state fatte troppe speculazioni e io non posso affidarmi ai ricordi delle persone di eventi che si sono verificati più di 50 anni fa. Tutto ciò che voglio è che le persone imparino qualcosa da quel periodo storico, che capiscano che quando aderisci a un partito non devi diventare un fanatico delle ideologie che promuove. C’erano così tante vittime e alla fine chi soffre in questa situazione siamo noi, i cittadini.”

Mentre intervistavo mio nonno, notavo molte incongruenze nelle sue affermazioni. Diceva una cosa, ma pochi minuti dopo ne diceva un’altra che contraddiva quella precedente. Ho visto questa ambivalenza anche nel documentario “The Act of Killing”, che invito a guardare tutti coloro che sono interessati a saperne di più su cosa successe in quel periodo. Mio nonno aveva anche ammesso la sua riluttanza a parlarne, se non fosse che avevo specificamente richiesto questa intervista, e ciò perché quel periodo è stato davvero buio per lui. Quindi, ero sorpresa che mio nonno fosse completamente disponibile a essere intervistato e disposto a rendere noto sia il suo nome che la sua fotografia. Nonostante questo, l’intervista non si è sviluppata senza intoppi come pensavo. Mio nonno dava sempre delle risposte molto brevi e sebbene io avessi già preparato delle domande, capii che se volevo uscirne con qualcosa, dovevo fare delle domande davvero molto specifiche.

La linea tra innocente passante e collaborazionista non è ben marcata e tali eventi devono aver lasciato qualche sorta di trauma in loro.

Ovviamente, essendo cresciuta con un’educazione all’occidentale, vedo il resoconto di mio nonno attraverso gli occhi di un’occidentale. Riesco a spiegare le contraddizioni nel suo racconto solamente come il risultato di una lotta interna a quelle persone vissute in quel periodo e che vedevano le loro famiglie uccise o portate via. La linea tra innocente passante e collaborazionista non è ben marcata e tali eventi devono aver lasciato qualche sorta di trauma in loro. Molte delle persone che erano coinvolte nei massacri e nell’inasprimento dei controlli nei confronti dei cosiddetti comunisti continuano a vivere impunite e persino a godere di posizioni di potere. In qualche modo, credo che in realtà mio nonno sapesse che cosa succedesse a coloro che venivano portati via. Venivano uccisi. La storia di mio nonno potrebbe sembrare troppo ‘normale’ in un periodo nefasto come questo ma molti non osano ancora parlarne e non è possibile dimostrare se mio nonno abbia provato a reprimere certi episodi. Almeno per me, questa intervista mi ha portata a scoprirne di più su questi eventi in Indonesia e Bali. Purtroppo, i documenti del governo indonesiano sul perseguimento e sull’uccisione dei membri del PKI sono ancora inaccessibili [4]. Il processo di riesame sta avvenendo molto lentamente e sono persone come mio nonno a poter fare da esempio agli altri, per parlarne pubblicamente e insegnarci qualcosa sul più recente passato dell’Indonesia. Spero almeno che la sua storia possa rendere più gente interessata a ciò che successe allora.


Note a piè di pagina:

[1] In Indonesia, tali eventi non sono ancora considerati come ‘genocidio’, piuttosto come una ‘rivolta di massa’, ma va detto che un omicidio di massa di tali dimensioni fu possibile solamente grazie ad azioni coordinate dall’alto (l’esercito e il governo). Per ulteriori letture sul colpo di stato e le uccisioni, consiglio i seguenti articoli: https://www.theguardian.com/books/2018/mar/15/killing-season-geoffrey-robinson-army-indonesian-genocide-jess-melvinreviews; https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/14623528.2017.1393942 

[2] Partai Komunis Indonesia (PKI - Partito Comunista Indonesiano), il Partai Nasional Indonesia (PNI - Partito Nazionale dell’Indonesia) e il Nahdlatul Ulama (Partito Musulmano)

[3] Il Movimento del 30 settembre riguarda il colpo di stato organizzato contro Sukarno a Giacarta, che portò alle repressione del comunismo. Per maggiori informazioni: https://www.sciencespo.fr/mass-violence-war-massacre-resistance/fr/document/indonesian-killings-1965-1966.html 

[4] Si pensa che fino a due milioni di persone furono uccise in tutta l’Indonesia a causa della repressione nei confronti dei comunisti e parecchie migliaia morirono nella piccola isola di Bali: https://www.smh.com.au/world/australian-journalist-frank-palmos-first-witness-to-1965-indonesian-massacre-20151002-gjzjjn.htmlhttps://theclassicjournal.uga.edu/index.php/2020/05/12/bite-sized-bali-grown-in-genocide-consumed-by-capitalism/


How does this story make you feel?

Follow-up

Do you have any questions after reading this story? Do you want to follow-up on what you've just read? Get in touch with our team to learn more! Send an email to
[email protected].

Talk about this Story

Please enable cookies to view the comments powered by Disqus.

Share your story

Every story we share is another perspective on a complex topic like migration, gender and sexuality or liberation. We believe that these personal stories are important to better understand what's going on in our globalised society - and to better understand each other. That's because we are convinced that the more we understand about each other, the easier it will be for us to really talk to one another, to get closer - and to maybe find solutions for the issues that affect us all. 

Do you want to share your story? Then have a look here for more info.

Share Your Story

Subscribe to our Monthly Newsletter

Stay up to date with new stories on Correspondents of the World by subscribing to our monthly newsletter:

* indicates required

Follow us on Social Media

I Made Susantha Balian

I Made Susantha Balian

I Made Susantha Balian is Balinese, born in the small village of Tamblang, Bali on 12th February 1949.

Other Stories in Italiano



Maria Sotiropoulou

Show all

Get involved

At Correspondents of the World, we want to contribute to a better understanding of one another in a world that seems to get smaller by the day - but somehow neglects to bring people closer together as well. We think that one of the most frequent reasons for misunderstanding and unnecessarily heated debates is that we don't really understand how each of us is affected differently by global issues.

Our aim is to change that with every personal story we share.

Share Your Story

Community Worldwide

Correspondents of the World is not just this website, but also a great community of people from all over the world. While face-to-face meetings are difficult at the moment, our Facebook Community Group is THE place to be to meet other people invested in Correspondents of the World. We are currently running a series of online-tea talks to get to know each other better.

Join Our Community

EXPLORE TOPIC Liberation

Global Issues Through Local Eyes

We are Correspondents of the World, an online platform where people from all over the world share their personal stories in relation to global development. We try to collect stories from people of all ages and genders, people with different social and religious backgrounds and people with all kinds of political opinions in order to get a fuller picture of what is going on behind the big news.

Our Correspondents

At Correspondents of the World we invite everyone to share their own story. This means we don't have professional writers or skilled interviewers. We believe that this approach offers a whole new perspective on topics we normally only read about in the news - if at all. If you would like to share your story, you can find more info here.

Share Your Story

Our Editors

We acknowledge that the stories we collect will necessarily be biased. But so is news. Believing in the power of the narrative, our growing team of awesome editors helps correspondents to make sure that their story is strictly about their personal experience - and let that speak for itself.

Become an Editor

Vision

At Correspondents of the World, we want to contribute to a better understanding of one another in a world that seems to get smaller by the day - but somehow neglects to bring people closer together as well. We think that one of the most frequent reasons for misunderstanding and unnecessarily heated debates is that we don't really understand how each of us is affected differently by global issues.

Our aim is to change that with every personal story we share.

View Our Full Vision & Mission Statement

Topics

We believe in quality over quantity. To give ourselves a focus, we started out to collect personal stories that relate to our correspondents' experiences with six different global topics. However, these topics were selected to increase the likelihood that the stories of different correspondents will cover the same issues and therefore illuminate these issues from different perspectives - and not to exclude any stories. If you have a personal story relating to a global issue that's not covered by our topics, please still reach out to us! We definitely have some blind spots and are happy to revise our focus and introduce new topics at any point in time. 

Environment

Discussions about the environment often center on grim, impersonal figures. Among the numbers and warnings, it is easy to forget that all of these statistics actually also affect us - in very different ways. We believe that in order to understand the immensity of environmental topics and global climate change, we need the personal stories of our correspondents.

Gender and Sexuality

Gender is the assumption of a "normal". Unmet expectations of what is normal are a world-wide cause for violence. We hope that the stories of our correspondents will help us to better understand the effects of global developments related to gender and sexuality, and to reveal outdated concepts that have been reinforced for centuries.

Migration

Our correspondents write about migration because it is a deeply personal topic that is often dehumanized. People quickly become foreigners, refugees - a "they". But: we have always been migrating, and we always will. For millions of different reasons. By sharing personal stories about migration, we hope to re-humanize this global topic.

Liberation

We want to support the demand for justice by spotlighting the personal stories of people who seek liberation in all its different forms. Our correspondents share their individual experiences in creating equality. We hope that for some this will be an encouragement to continue their own struggle against inequality and oppression - and for some an encouragement to get involved.

Education

Education is the newest addition to our themes. We believe that education, not only formal but also informal, is one of the core aspects of just and equal society as well as social change. Our correspondents share their experiences and confrontations about educational inequalities, accessibility issues and influence of societal norms and structures. 

Corona Virus

2020 is a year different from others before - not least because of the Corona pandemic. The worldwide spread of a highly contagious virus is something that affects all of us in very different ways. To get a better picture of how the pandemic's plethora of explicit and implicit consequences influences our everyday life, we share lockdown stories from correspondents all over the world.

Growing Fast

Although we started just over a year ago, Correspondents of the World has a quickly growing community of correspondents - and a dedicated team of editors, translators and country managers.

94

Correspondents

112

Stories

56

Countries

433

Translations

Contact

Correspondents of the World is as much a community as an online platform. Please feel free to contact us for whatever reason!

Message Us

Message on WhatsApp

Call Us

Joost: +31 6 30273938