Come un’economista in erba è diventata sostenitrice dei diritti umani dei migranti
Non avevo visto molti economisti occuparsi della questione migratoria, quindi, ho pensato perché non farlo io?
Spain, Southern Europe
Story by Natalia Ruiz Gómez. Translated by Stefania Ledda
Published on February 28, 2021.
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Quando pensi a un economista, potresti immaginarti qualcuno con un completo formale che lavora ad alcuni investimenti bancari o qualcuno che gestisce le finanze di una società. Non è sbagliato pensarla così, ma questo non è il mio caso. Ho deciso di dedicare la mia carriera professionale ai diritti umani dei migranti nel maggio del 2015, quando insieme al resto del mondo osservavo più di 4000 immigrati sulle coste meridionali dell’ltalia che avevano bisogno di essere salvati entro 48 ore. Il mancato interesse della politica a garantire i diritti umani degli immigrati divenne ovvio due mesi più tardi, quando l’adozione della Citizen Security Law ha reso gli “hot returns” [1] legali nel mio paese, la Spagna. Politiche simili erano state adottate anche da altri paesi europei. Man mano che i mesi passavano, la tensione nel corridoio mediterraneo aumentava, così come l’incitamento all’odio. Il Mediterraneo era diventato la rotta migratoria più letale al mondo.
Quando avevo scoperto i diversi meccanismi politici che gli stati utilizzavano per evitare la questione delle migrazioni, mi sentivo profondamente indignata. Era come se il mondo stesse facendo distinzioni tra esseri umani di prima classe e di seconda classe. In quel momento pensai: perché alle grandi potenze economiche è permesso di appropriarsi delle risorse dei paesi in via di sviluppo mentre si rende la mobilità delle persone di questi paesi un crimine?
Non avevo visto molti economisti occuparsi della questione migratoria, quindi, ho pensato perché non farlo io? Durante gli anni di università in Spagna, mi ero resa conto che il sistema accademico stava separando le scienze sociali dalle scienze economiche e nella mia testa questo non aveva alcun senso, visto che sono empiricamente collegate. Per me l’economia non ha solamente a che fare con tassi di interesse e disoccupazione ma riguarda anche come assicurare uno stato sociale.
La mia missione è mettere il mio bagaglio accademico di Economia al servizio dei diritti umani dei migranti. Nel 2019 ho avuto la fantastica opportunità di frequentare il corso “Refugees, Realities and Rights” (Rifugiati, realtà e diritti) presso un’università nei Paesi Bassi impegnata in progetti di ricerca sulla sostenibilità e l’uguaglianza sociale, dove ho incontrato studenti di diverse nazionalità con idee incredibilmente interessanti. Trovavo incoraggiante partecipare ai dibattiti in aula insieme a un folto gruppo di giovani in merito a un tema così delicato e complesso. In questo corso avevamo trovato lo spazio giusto per condividere le nostre preoccupazioni sulla situazione critica delle migrazioni.
Ho capito che rendere i luoghi per i giovani più agevoli è importante per discutere e affrontare i problemi attuali. Non dobbiamo lasciare indietro nessuno, in modo da avere una più ampia visione attraverso quanti più punti di vista possibili e definire politiche comuni. Inoltre, la società di oggi gioca un ruolo vitale nel sensibilizzare l’opinione pubblica al frenare gli incitamenti all’odio. Spinta da questo motivo, ho partecipato come volontaria ad eventi della commissione spagnola di aiuto ai rifugiati (CEAR), tenendo lezioni nelle scuole relativamente alla questione migratoria, per sensibilizzare e combattere la disinformazione. I partecipanti più giovani hanno mostrato grande interesse per il tema, cosa che mi ha davvero rincuorato.
Sono convinta che dovremmo attribuire più importanza all’aspetto sociale dell’economia, che è fondamentale per soddisfare le necessità attuali e garantire sia eque opportunità che uguaglianza dei diritti umani. In quanto membri della società, siamo responsabili del ripristino dell’integrità e della dignità degli immigrati. Garantire i diritti umani non è un’opzione, è un dovere.
[1] Hot returns: espulsioni dei migranti direttamente al confine senza alcuna valutazione individuale.
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